Dino Paoli, innovazione Made in Italy
Alla guida di Dino Paoli, eccellenza italiana nel motorsport e oltre, Francesca Paoli ci racconta come coniugare storia e innovazione per competere sui mercati globali, promuovendo sostenibilità e inclusione
Francesca Paoli, alla guida di Dino Paoli dal 2007, rappresenta un punto di riferimento per l’innovazione nel settore del motorsport e oltre. Sotto la sua direzione, l’azienda, nata nel 1968 con la produzione di avvitatori per officine, si è trasformata in una realtà internazionale che esporta l’80 per cento dei propri prodotti, servendo non solo i team delle principali competizioni motoristiche globali, ma anche settori come l’aerospaziale, le infrastrutture e il ferroviario. Francesca ha saputo coniugare l’eredità di una lunga tradizione familiare con una visione strategica orientata al futuro, puntando su tecnologie avanzate, sostenibilità e pari opportunità.
Scelta da Forbes tra le 100 donne italiane più influenti del 2024, è una sostenitrice della parità di genere, del trasferimento tecnologico e della formazione continua. Attraverso collaborazioni con consorzi innovativi come ANSER e progetti rivoluzionari come il Typhoon Plus with torque indicator, la Ceo e l’azienda Dino Paoli stanno ridefinendo i confini dell’eccellenza industriale.
Dino Paoli è un’azienda con una lunga storia. Come coniugate tradizione e innovazione per rimanere competitivi nel mercato globale?
«Mio padre nel 1968 ha iniziato a produrre avvitatori per i gommisti e officine partendo da uno scantinato e un tecnigrafo delle Reggiane. Era molto attento e vedeva quello che gli succedeva intorno. Era a due passi dal Circuito di Fiorano Modenese e lì incontrare Enzo Ferrari non era una cosa rara. Gli venne in mente di creare un avvitatore speciale per il pit-stop, per i meccanici che dovevano sostituire le gomme a velocità eccezionali. Contattò Enzo Ferrari, lo invitò a provare i suoi avvitatori per le corse.
Così abbiamo cominciato a collaborare con Ferrari e da allora non abbiamo mai smesso. Oggi praticamente tutte le scuderie del mondo nei principali campionati – IndyCar, Nascar, Gran Turismo, Formula 2, 24 Ore di Le Mans, Formula E – hanno almeno un Paoli e la nostra è una realtà internazionale che esporta l’80 per cento in tantissimi Paesi.
A volte ci chiedono “com’è possibile che nessuno sia riuscito a copiarvi o a superarvi?”. Forse c’è da dire che se vai a 300 km/h su una vettura da corsa non ti senti di affidarti al primo arrivato, ma senza dubbio avere l’opportunità di continuare a lavorare con i migliori team, OEM e Federazioni, ci ha dato un know-how importante.
Ci piace dire che per ogni bullone da avvitare esiste un Paoli perché oltre al motorsport serviamo tantissimi settori: dall’industria alle infrastrutture, dalla manutenzione pesante ai cantieri navali, dal settore minerario a quello ferroviario. Ma non è finita qui. In questo momento, per esempio, stiamo lavorando sul trasferimento tecnologico dal motorsport l’aerospaziale e a quello delle applicazioni sottomarine.
Molti componenti dei prodotti che produciamo per il motorsport sono già realizzati con materiali high performance come, ad esempio, l’alluminio aeronautico, acciai legati, titanio e carbonio. Il trasferimento tecnologico verso questi nuovi settori è sicuramente uno degli aspetti che più ci vedrà impegnati nei prossimi anni. Proprio a fine luglio siamo entrati anche nel consorzio ANSER, promosso dalla Regione Emilia-Romagna con l’obiettivo di riunire le eccellenze imprenditoriali del territorio per fare della nostra regione un polo di riferimento nel settore aerospaziale e aeronautico».
Quest’anno è stata scelta da Forbes tra le 100 donne di successo. Quali sono state le maggiori sfide che ha affrontato come donna leader nel portare avanti un’azienda tradizionale come Dino Paoli verso l’innovazione?
«Mi ricordo ormai una decina di anni fa un titolo di giornale: “Francesca, una donna alla guida di un’azienda da Formula Uno”. Sono una donna, sono Ceo di una azienda che lavora nel motorsport, faceva notizia. E devo dire che a volte lo fa ancora. Il fatto è che per me, invece, non c’è nulla di eccezionale. Sono praticamente nata in azienda. Per me stare in mezzo a tutto questo è sempre stato naturale, famigliare. E so per certo di non essere un caso eccezionale, nel senso che – anche se non se ne parla molto – in realtà ci sono molte donne che
lavorano con passione in questo settore. Però, appunto, fa ancora notizia. Forse è anche per questo che ho sempre sentito di dover fare qualcosa, per assicurarmi che potesse essere “naturale” almeno per tutte le persone che lavorano con noi ogni giorno. Qualche mese fa abbiamo ottenuto la certificazione per la parità di genere, che per noi ha un valore molto forte soprattutto perché operiamo in settori che per tutta una serie di stereotipi tendono a essere considerati “maschili”.
In Paoli, per esempio, una donna che si candida per una posizione di lavoro in fase di selezione non si sentirà mai fare domande sulla vita privata; gli stipendi e i benefit sono riconosciuti equamente sulla base delle competenze e delle responsabilità, stessa cosa per le opportunità di carriera. Questo significa anche che supportiamo la maternità tanto quanto la
Quest’anno è stata scelta da Forbes tra le 100 donne di successo. Quali sono state le maggiori sfide che ha affrontato come donna leader nel portare avanti un’azienda tradizionale come Dino Paoli verso l’innovazione?
«Mi ricordo ormai una decina di anni fa un titolo di giornale: “Francesca, una donna alla guida di un’azienda da Formula Uno”. Sono una donna, sono Ceo di una azienda che lavora nel motorsport, faceva notizia. E devo dire che a volte lo fa ancora. Il fatto è che per me, invece, non c’è nulla di eccezionale. Sono praticamente nata in azienda.
Per me stare in mezzo a tutto questo è sempre stato naturale, famigliare. E so per certo di non essere un caso eccezionale, nel senso che – anche se non se ne parla molto – in realtà ci sono molte donne che lavorano con passione in questo settore. Però, appunto, fa ancora notizia. Forse è anche per questo che ho sempre sentito di dover fare qualcosa, per assicurarmi che potesse essere “naturale” almeno per tutte le persone che lavorano con noi ogni giorno. Qualche mese fa abbiamo ottenuto la certificazione per la parità di genere, che per noi ha un valore molto forte soprattutto perché operiamo in settori che per tutta una serie di stereotipi tendono a essere considerati “maschili”.
In Dino Paoli, per esempio, una donna che si candida per una posizione di lavoro in fase di selezione non si sentirà mai fare domande sulla vita privata; gli stipendi e i benefit sono riconosciuti equamente sulla base delle competenze e delle responsabilità, stessa cosa per le opportunità di carriera. Questo significa anche che supportiamo la maternità tanto quanto la paternità, per fare in modo che la cura dei figli non ricada solo sulle madri.
E poi ovviamente c’è il tema degli abusi, delle molestie, contro cui la nostra politica è di tolleranza zero. Tra le altre cose, stiamo collaborando con AWA Automotive Woman Association, un’entità senza scopo di lucro composta da socie con pregressa o attuale
esperienza nel settore automobilistico che ha l’obiettivo di formare e promuovere il motorsport al femminile. Di recente abbiamo aperto la scuola di formazione AWA negli spazi di Casa Autopromotec, ad Anzola Emilia dove è già presente anche la scuola di Federpneus. E sa cosa? Se le donne nel motorsport sono un fatto che fa
notizia, bene. Vorrà dire che avremo qualche occasione in più per ribadire che siamo in tante, non solo in Paoli ma in tutto il settore. Faremo tutto il possibile per arrivare a un giorno nel quale le politiche di genere non siano più necessarie».
Come Dino Paoli integra pratiche sostenibili nei suoi processi e prodotti? L’innovazione può essere una chiave per ridurre l’impatto ambientale?
«Oggi per un’azienda essere sostenibile non è più opzionale. Anche perché chi sceglie è sempre più sensibile a questo tema e sceglie anche in base a questo, quindi è diventata anche una questione di vantaggio competitivo. Noi abbiamo intrapreso un percorso verso la sostenibilità che ci ha permesso di ottenere la certificazione ambientale.
Abbiamo definito una politica molto precisa che prevede una serie di azioni. Per esempio, ci stiamo impegnando per abbattere il nostro consumo energetico, limitando le risorse necessarie per svolgere le nostre attività quotidiane; stiamo ottimizzando i processi produttivi per ridurre al minimo gli scarti e quindi i rifiuti che produciamo e, inoltre, esplorando percorsi di 3D Additive Manufactoring. Inoltre, promuoviamo il riciclo, il riutilizzo e il corretto smaltimento dei rifiuti.
Ma d’altra parte abbiamo sempre fatto innovazione con l’idea di anticipare le esigenze del mercato e quindi anche l’innovazione di prodotto lavora con logiche di sostenibilità. È a nostra firma, infatti, il Typhoon Plus with torque indicator che ha reso possibile lo storico avvento degli avvitatori elettrici in F2 nel 2023. Per il motorsport è un’innovazione rivoluzionaria anche in termini di sostenibilità.
Gli avvitatori pneumatici necessitano di tubi, raccordi, carrelli e altra attrezzatura che fanno crescere volume e peso per il trasporto e, quindi, il livello di CO2 emessa. Per far funzionare un avvitatore elettrico invece bastano le batterie: con il Typhoon Plus with torque indicator abbiamo eliminato la maggior parte dell’attrezzatura e siamo passati da 900 kg a 300 kg di peso medio dell’attrezzatura di un team.
Naturalmente non è stato semplice ed è un percorso che avrà ulteriori evoluzioni, perché per garantire prestazioni al top con un avvitatore elettrico ci sono tanti aspetti non banali da risolvere, ma abbiamo creato le condizioni di possibilità di un cambio di passo davvero importante in termini di impatto ambientale».
Quanto è importante per voi attrarre giovani talenti con competenze specifiche in tecnologia e innovazione? Investite nella formazione continua del personale per adattarsi ai cambiamenti tecnologici?
«Nel motorsport la velocità è tutto, non solo in pista ma anche nell’innovazione, e se non sei tu a proporla ci pensano i team a farsela da soli. Questo per noi, che siamo una Pmi, avrebbe significato essere tagliati fuori dal mercato se non avessimo sviluppato un mindset volto a proporre ogni anno qualcosa di nuovo
ai nostri clienti. Questo, ovviamente, è uno sforzo notevole per noi, perché significa investire tempo e risorse in ricerca e sviluppo. In questa direzione troviamo molto importanti progetti come quello dell’International Open Innovation Programme (IOIP) di ART-ER che in maniera virtuosa impiega fondi del Pnrr per consentire alle imprese dell’Emilia-Romagna di
attingere a un bacino di professionisti, fornitori e centri di ricerca fondamentali per trovare e sviluppare velocemente nuove idee e soluzioni».