Fare impresa si può… anche in carcere.
FiD compie dieci anni. L’impresa nata e cresciuta all’interno del carcere bolognese, che comunemente è chiamato “la Dozza”, Fid sta per “Fare Impresa alla Dozza”, fa un bilancio della sua attività e fornisce i risultati che sono stati concreti e tangibili.
Fare Impresa può vantare di aver dato lavoro a cinquanta detenuti che, grazie ad un percorso formativo e ad un lavoro regolarmente retribuito, hanno avuto l’opportunità di integrarsi nella comunità locale. Ma c’è di più perché una volta scontato il periodo di reclusione gli ex detenuti hanno continuato a “rigar dritti”. Infatti si è registrato un indice di rientro in carcere intorno al 12%, contro il 68% della media nazionale (dati 2019 fonte Il Sole 24 ore).
Fid: impresa a tutti gli effetti
L’impresa oggi conta 35 dipendenti, tutti detenuti, che si occupano di meccanica. Il progetto è stato ideato da tre colossi del settore della meccanica e del packaging: Marchesini Group, Gd e Ima, a cui si è aggiunto, in un secondo momento, anche Faac.
Un’idea imprenditoriale innovativa e certo complessa da avviare perché ha dovuto confrontarsi non poche difficoltà e non pochi pregiudizi, ma a distanza di anni dall’avvio i risultati arrivano.
Maurizio Marchesini di Marchesini Group, oltre che presidente di Fdi, ha spiegato durante l’incontro pubblico che si è svolto nell’aula bunker della Dozza:
«Scegliamo chi ha una pena detentiva lunga così potrà avere uno sbocco lavorativo in regime di semilibertà. Fdi è una azienda a tutti gli effetti che tenta di chiudere il suo bilancio in attivo».
I tutor che seguono gli operai/carcerati sono a loro volta operai in pensione e anche questa soluzione si è rivelata strategica. Il progetto ha creato sinergia tra diversi soggetti: le aziende sopra menzionate, ma anche la Fondazione Aldini Valeriani, oltre che allo stesso carcere.
Al convegno erano presenti anche la direttrice del carcere Rosa Alba Casella, Alvise Sbraccia professore associato di Scienze Giuridiche dell’università di Bologna, padre Giovanni Mengoli, presidente del gruppo Ceis, Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ed Emma Petitti, presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione, la quale ha dichiarato in apertura del suo intervento
«Il lavoro, anche in carcere, è un diritto, ed è un segno di civiltà. È la stessa Costituzione, nell’articolo 27, a ricordarcelo quando afferma che ‘le pene devono tendere alla rieducazione del condannato’. Un trattamento pedagogico-risocializzante con obiettivi chiari. Per ripartire, per ricostruire».
Fonte
Laura Branca