• 15/10/2024

incontro di fine anno di Unindustria

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Tradizionale incontro di fine anno di Unindustria Reggio Emilia. Confronto su 2024 I “reggiani” si guardano allo specchio

Si è tenuto martedì 12 dicembre al pomeriggio presso Ruote da Sogno il tradizionale incontro di fine anno di Unindustria Reggio Emilia, intitolato 2024 “I reggiani si guardano allo specchio”. L’incontro, che ha visto la partecipazione di oltre 300 persone, ha preso il via con l’intervento della Presidente Roberta Anceschi.

Sono seguiti la relazione di Daniele Marini, docente di Sociologia dei processi economici Università di Padova – Direttore Scientifico Community Research&Analysis e la conversazione tra Enrico Bini, sindaco di Castelnovo né Monti, Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia e Camilla Verona, sindaco di Guastalla. Ha condotto i lavori Andrea Cabrini, Direttore Class CNBC.

Incontro di Fine Anno 2023 – I reggiani si guardano allo specchio Intervento della Presidente di Unindustria Reggio Emilia Roberta Anceschi

«Autorità, signori sindaci, signore e signori, care colleghe e cari colleghi, benvenuti all’incontro di fine anno di Unindustria Reggio Emilia. Un saluto particolare lo rivolgo ai nostri relatori. Enrico Bini, Sindaco del comune di Castelnovo ne’ Monti.  Daniele Marini, docente universitario e Direttore scientifico di Community Media Research.

Luca Vecchi, Sindaco del Comune di Reggio Emilia. Camilla Verona, Sindaco del Comune di Guastalla. Infine un ringraziamento particolare ad Andrea Cabrini, che da anni ci accompagna nei nostri maggiori appuntamenti.

Poco meno di due settimane fa il Censis – nel suo consueto Rapporto annuale – ha descritto lo stato della società italiana con le seguenti parole. “Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati.  Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza.

La società italiana sembra affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo dell’attenzione indispensabile per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti. Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti, come se le due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero. La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre.

Si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050: una scarsità di lavoratori che avrà un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore. Ma il sonnambulismo non è imputabile solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi.

Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici. E rassegnati, se l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”. Quello che ho appena richiamato è il quadro della società italiana, dove, per la prima volta e in maniera stringente, sono gli italiani con la loro apatia e non la politica o i problemi sociali, al centro dell’analisi.

Il Censis descrive meticolosamente una “ipertrofia emotiva” dove le argomentazioni ragionevoli vengono travolte da “paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile”. Ecco dunque la paura dei processi di globalizzazione, senza riflettere sul fatto che un paese esportatore – come il nostro – li dovrebbe promuovere, oltre che dominare.

Ecco la diffidenza verso il sapere scientifico, che genera i mostri negazionisti, e verso l’Europa che si crede abbia a suo fondamento un complotto finanziario di presunti poteri forti”. Ecco, infine, la “paura” per gli immigrati, senza capire che ormai sono davvero indispensabili. L’immigrazione, come ben sappiamo, è un fenomeno strutturale da decenni. Tuttavia, è stato sin qui affrontato in termini di emergenza, come fosse un fatto episodico. Oggi, l’estensione, la qualità e la quantità del processo sono tali da esigere una soluzione complessiva al nostro sistema di convivenza che non sottovaluti, prima di tutto, il malessere diffuso e ormai radicato nell’opinione pubblica.

Così dunque l’Italia del 2023.

In una prospettiva come questa acquista ancora maggior significato l’inedita ricerca sul sentiment dei cittadini reggiani, commissionata da Unindustria Reggio Emilia, che presentiamo questa sera in anteprima. La nostra realtà condivide con il resto del paese il quadro generale di riferimento che ha caratterizzato gli ultimi anni, anche se poi, fortunatamente, o meglio meritatamente, dimostra di essere riuscita ad affrontarlo con maggior efficacia grazie alla presenza di un sistema industriale locale di classe mondiale. Insieme a tutti gli italiani abbiamo condiviso la pandemia, il riassetto geopolitico, con il confronto tra Cina e Stati Uniti, la crisi energetica e gli effetti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Siamo di fronte a un formidabile concentrato temporale di shock; quella che stiamo vivendo non è un’epoca di cambiamenti, bensì un vero cambiamento di epoca. Come imprenditori rileviamo che questa situazione di incertezza permanente ha accelerato il cambiamento delle catene globali del valore evidenziandone la fragilità. In altri termini, sta cambiando il campo di gioco delle nostre imprese e, dunque, anche delle nostre comunità che negli scorsi decenni proprio attraverso il successo internazionale dell’industria hanno consolidato il loro benessere, la loro coesione sociale e la loro identità.

Una consapevolezza, quest’ultima, che nel corso dell’anno ci ha portato ad occuparci con attenzione crescente dello stato di salute delle principali filiere locali, con un impegno destinato a continuare. Possiamo orgogliosamente affermare che l’industria reggiana ha saputo affrontare gli anni trascorsi dalla grande crisi del 2008 con grande determinazione.

Riferendomi al 2024 il valore delle esportazioni sarà sostanzialmente confermato, considerando anche un 2023 che dovrebbe chiudersi con un +0,5%. Un dato positivo – migliore dei valori previsti a livello regionale e nazionale (-1,8%) – che ovviamente sconta il richiamato acuirsi delle tensioni internazionali. L’anno che volge al termine dovrebbe registrare una crescita dell’occupazione dell’1,5%.

Guardando al prossimo 2024 condividiamo la posizione espressa nelle scorse settimane dal Presidente Bonomi quando ha ribadito la necessità di destinare più risorse a sostegno degli investimenti. Recentemente il Centro Studi di Confindustria ha evidenziato che ci troviamo intrappolati tra tassi elevati e incertezze globali che determinano una forte caduta degli investimenti industriali e della crescita.

Dunque, serve uno stimolo forte agli investimenti finalizzati ad agganciare le transizioni green e digitale. In particolare, si devono sostenere gli investimenti per l’Industria 4.0, per la trasformazione digitale delle imprese, con particolare attenzione agli sviluppi della Intelligenza Artificiale che si configura ormai come un’autentica rivoluzione.

Una spinta decisa sul fronte degli investimenti può e deve arrivare dall’attuazione del Recovery Plan. Tra Pnrr e fondi del settennato europeo ci sono a disposizione più di 400 miliardi in sette anni: vanno utilizzati bene e velocemente per realizzare le infrastrutture e stimolare gli investimenti. Riferendomi ancora all’industria è indispensabile mantenere un’elevata attenzione sul credito.

In tale ambito i prestiti bancari nel paese hanno segnato -6,2% annuo ad agosto mentre nello stesso periodo la liquidità si è assottigliata registrando un -5,6%.

Una situazione che potrebbe presto trasformarsi anche in carenza di liquidità. Infine, un’ultima considerazione sul taglio del cuneo fiscale e sui rinnovi contrattuali. Seppur non strutturali i tagli al “cuneo”, insieme a quelli sull’Irpef, significano – per chi ha un reddito inferiore a 35 mila euro – un aumento stimabile in 1.400 euro, ovvero l’equivalente di una mensilità che concorrerà certamente a sostenere in parte il reddito e il potere d’acquisto delle famiglie provate dall’inflazione.

Pur considerando i vincoli di bilancio auspichiamo che questo intervento sia l’avvio di un processo che porti a una generalizzata riduzione sia del cuneo, sia dell’Irpef. Un intervento indispensabile anche per ridare respiro a una classe media la cui crisi rappresenta una grave minaccia per la tenuta e la crescita del paese. Quanto ai rinnovi contrattuali credo sia indispensabile evidenziare che, qualora l’ordine di grandezza degli aumenti richiesti si attestasse intorno ai 400 euro, a fronte di zero scambio sulla produttività, è impensabile che le nostre imprese possano reggere.

Una considerazione, quest’ultima, che tiene conto del differenziale competitivo che in materia di produttività ci distacca sensibilmente dai principali competitori internazionali. Venendo ora all’incontro di questa sera credo sia indispensabile una premessa per inquadrare lo spirito della ricerca di cui tra poco parleremo.

Come molti di voi probabilmente ricorderanno, nel giugno scorso abbiamo organizzato la nostra Assemblea Generale a Castelnovo nè Monti. Una scelta significativa perché per la prima volta nella storia degli industriali reggiani il loro massimo appuntamento annuale si è tenuto al di fuori del capoluogo. Abbiamo inaugurato in tal modo un percorso ideale che partendo dalla “montagna” nel 2023 e passando poi per la “pianura” nel 2024 riporterà, nel 2025, l’Assemblea degli industriali a Reggio Emilia.

Nell’adozione di questo approccio ci ha sostenuto il convincimento che oggi più che mai un sistema di imprese evolve se le capacità del territorio e delle sue istituzioni sono complementari alla crescita di ogni singola azienda. In altri termini ci sono fattori “esterni” che sono ormai cruciali per permettere alle aziende di ideare prodotti, generare valore e occupazione. Abbiamo così iniziato a pensare in termini di ecosistemi locali per la generazione del valore.

Nella nostra provincia, come tutti ben sanno, gli ecosistemi economici e sociali sono tre: la montagna, l’area del capoluogo lungo la via Emilia, e la pianura. Ciascuno di essi presenta specificità e priorità che chiedono risposte mirate.

L’obiettivo della nuova fase associativa, aperta con l’Assemblea Generale 2023, è la promozione di forme evolute di collaborazione, tra gli attori locali dei diversi sistemi territoriali reggiani, non solo per delineare programmi di sviluppo territoriale, ma anche per concorrere al migliore utilizzo dei fondi straordinari – provenienti dall’Unione Europea, dalla Regione Emilia-Romagna – dai quali dipende il rinnovamento del sistema reggiano nel suo complesso.

Nel giugno scorso, durante i nostri lavori assembleari, abbiamo sottoscritto con le principali istituzioni della montagna un innovativo Protocollo d’intesa incentrato su iniziative concrete riconducibili alla sostenibilità. L’anno prossimo ci incontreremo a Guastalla, comune capocentro della nostra pianura che negli ultimi trent’anni ha visto uno sviluppo industriale senza eguali nel nuovo triangolo industriale compreso tra Varese, Treviso e Bologna. L’obiettivo sarà, ancora una volta, la condivisione di visioni, progetti e iniziative locali.

Questa nuova interpretazione del territorio provinciale e dell’azione di rappresentanza dell’Associazione ha registrato un ampio consenso anche se non sono mancate le perplessità di coloro che faticano a cogliere le profonde trasformazioni che hanno segnato in questi anni la nostra provincia, il suo territorio e le nostre industrie.

È questa la chiave di lettura per comprendere le ragioni che ci hanno spinto a commissionare un’indagine sul sentiment dei reggiani concentrata non solo sul capoluogo, ma anche sulle realtà della montagna e della pianura. Abbiamo fatto questa scelta con l’intento di offrire un momento di riflessione agli amministratori, alle istituzioni e ai cittadini di ciascuna di queste realtà.

Un esercizio tanto più indispensabile se si considerano sia le numerose “crisi” che tutti insieme abbiamo attraversato in questi anni, sia l’imminente scadenza elettorale amministrativa nella quale ci auguriamo si realizzi non solo il più ampio confronto tra candidati, ma anche una elevata partecipazione al voto. La ricerca condotta dal professore Daniele Marini è stata realizzata in piena autonomia.

I dati che vedremo e le considerazioni che ascolteremo tra poco confermano la nostra provincia come una delle aree più solide del paese e, tuttavia, invito ciascuno di voi a non concentrare la propria attenzione sui numerosi e lusinghieri elementi di positività. Chiedo, al contrario, di soffermarsi sulle numerose e talvolta urgenti aree di miglioramento. Ciascuna delle tre realtà esaminate presenta anche elementi di criticità che richiedono rinnovata attenzione e interventi mirati.

Si pone in evidenza, in particolare, la questione della sostenibilità sociale riferita prima di tutto alla qualità della vita dedotta non solo dalle statistiche, bensì dall’ascolto attento e paziente delle persone a partire dalle più fragili. In tale prospettiva Reggio Emilia, in particolare, pare accentuare i tratti tipici delle realtà urbane maggiori del Nord Italia: polarizzazione tra i cittadini, crescita della percezione di insicurezza, aumento del disagio sociale, difficoltà di integrazione e perdurante crisi delle attività commerciali minori.

Questa, ovviamente è solo una parte della sua realtà e, tuttavia, è proprio su di essa che dobbiamo impegnarci per affermare una media città di rango, centrale alla Pianura Padana, universitaria, eccellente nella sanità, ricca di imprese e multinazionali tascabili, ospitale e autenticamente attrattiva. Questa sera, in amicizia e con spirito di collaborazione, dobbiamo guardarci allo specchio non per rivendicare i rispettivi primati amministrativi ed economici, bensì per affrontare la sfida di un futuro che si presenta difficile.

Autorità, signori Sindaci,

lavorando insieme possiamo superare i limiti individuali e aprire nuove strade per affrontare le sfide di un mondo che cambia. Le interazioni tra soggetti con ruoli e competenze diverse favoriscono la generazione di idee innovative e la creazione di soluzioni più efficaci. Di fronte alla grande trasformazione, di fronte alle guerre, di fronte ai pericoli, coloro che ad ogni livello amministrativo guidano l’Italia e le sue migliaia di comunità, sono chiamati a far prevalere la saggezza fondata sul dialogo, sulla collaborazione e sul nobile compromesso che rappresenta l’essenza stessa dell’agire politico.

Albert Einstein sosteneva che “non si può ottenere nulla di veramente prezioso se non con la collaborazione disinteressata di molti”. Dunque, uniamo le nostre forze. Collaboriamo per costruire insieme il futuro del nostro Paese, delle nostre comunità, delle nostre imprese e dei nostri figli. Adesso è il momento.

Molti auguri di buone feste a tutti voi».

EMILIA ROMAGNA ECONOMY - incontro di fine anno di Unindustria

I reggiani e la vita da «mediano». La popolazione della provincia di Reggio Emilia e le percezioni della qualità della vita di Daniele Marini e Irene Lovato Menin Community Research&Analysis

La fotografia scattata sulla popolazione della provincia di Reggio Emilia alla fine del 2023 avviene in un contesto segnato da tensioni internazionali (i conflitti bellici russo-ucraino scoppiato nel 2022 e quello israelo-palestinese dell’ottobre 2023), dopo una lunga esperienza di difficoltà come quella della pandemia che ha lasciato tracce significative e le previsioni di un PIL che torna ad avere la “sindrome dello zero-virgola”.

A queste condizioni si sovrappongono altri elementi di tensione come l’elevata inflazione, la crisi energetica che ha pesato su famiglie e imprese. Insomma, il quadro complessivo non lascia spazio a visioni particolarmente positive e prefigura un futuro molto incerto e costellato di cambiamenti continui e repentini. Tant’è che a ragione si può sostenere che siamo ormai entrati in un’epoca dove il «cambiamento è la nostra nuova normalità».

Ciò nonostante, in una simile realtà le condizioni percepite dalla popolazione reggiana, seppure con gradi di difficoltà e problematicità non marginali, sono improntate in netta prevalenza a una sostanziale stabilità.

O, se si vuole, a una buona capacità di tenuta e conservazione delle proprie posizioni, soprattutto se paragonate al resto della regione emiliano-romagnola e, ancor di più, rispetto alla media nazionale. Una società che appare strutturata e salda attorno alle proprie istituzioni locali, che ha nel sistema produttivo industriale locale e nel suo know-how, in quello formativo-scolastico e nel capitale umano e professionale disponibile un insieme di capisaldi che consente una buona tenuta delle condizioni sociali ed economiche e rende competitivo e attrattivo il territorio.

Pur tuttavia, nello stesso tempo, sembrano mancare slanci di crescita, segnali che diano la sensazione di una progressione plausibile o un’accelerazione ulteriore: prevale una sorta di «medietà» nelle percezioni, sicuramente positive, ma che restano nella media, appunto, nel confronto con altre realtà simili.

In questa sede proviamo a ripercorrere alcuni degli esiti che giustifichino l’interpretazione poc’anzi avanzata, mediante alcune parole-chiave, lasciando poi l’esplorazione nel dettaglio dei risultati alle pagine seguenti.

Stabilità inclinata. Un primo aspetto riguarda le condizioni economiche percepite sia negli ultimi anni, che in prospettiva. La maggioranza dei reggiani interpellati non segnala essere intervenuti significativi cambiamenti nelle proprie risorse nell’ultimo lustro, seppure attraversato da profonde crisi come quella pandemica: la metà (50,5%) ritiene non mutata la posizione rispetto a 5 anni fa e il 54,4% prefigura di conservare la medesima situazione anche per il prossimo 2024.

Nel complesso le famiglie della provincia di Reggio Emilia singolarmente dimostrano una buona capacità di tenuta, ma c’è forte preoccupazione per quello che riguarda l’economia del territorio e, in misura di gran lunga maggiore, per quella nazionale ed europea dove le previsioni per il 2024 sono nettamente all’insegna di un peggioramento (rispettivamente: 48,1%, 65,6% e 61,0%). L’interrogativo che si pone è se una famiglia può essere in grado di resistere economicamente quando attorno a sé le condizioni peggiorano.

E, infatti, l’orizzonte futuro è addensato da preoccupazioni che riguardano, in primo luogo, l’aumento del costo della vita e l’aumento dei prezzi (24,5%) e le conflittualità belliche (20,0%); in secondo luogo, il futuro per le giovani generazioni (13,9%) e dai cambiamenti climatici (10,4%).

Considerando poi l’«ascensore sociale» dei reggiani osserviamo, una volta di più, una netta prevalenza di stabilità delle condizioni: l’ascensore resta fermo nelle posizioni acquisite (56,2%). Benché una parte non marginale (34,7%) intraveda una discesa, quindi un processo di erosione delle condizioni.

Siamo di fronte, così, a una prevalente condizione economica di «stabilità», però con un «piano inclinato» che interessa una quota significativa di soggetti e famiglie reggiane.

Understatement. Collegata a queste dimensioni viene un secondo aspetto: la percezione della qualità della vita e dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni. Anche in questo caso otteniamo un esito complessivo di sostanziale saldezza delle diverse dimensioni proposte. La costruzione dell’indice generale di qualità della vita vede i due terzi degli interpellati (62,5%) non rilevare trasformazioni particolari nei diversi fattori.

Esito che, confrontato con altre ricerche svolte a livello regionale e nazionale, evidenzia percezioni decisamente migliori. Se in provincia di Reggio Emilia vive un peggioramento della qualità di vita il 31,9% della popolazione, altrettanto avviene per il 41,4% degli emiliano- romagnoli e il 44,5% degli italiani.

Continuando su questo ambito tematico, più della metà dei reggiani (57,0%) ritiene che nel comune di residenza si viva nello stesso modo rispetto ad altre realtà cittadini simili, e il 33,0% persino meglio. La stessa amministrazione comunale nel 53,5% dei casi è ritenuta funzionare più o meno come nelle altre municipalità. Dunque, anche su questi versanti viene restituita un’immagine di «medietà».

Però, alla fine, emerge un elemento che appare paradossale. Da un lato, dovendo fare un bilancio complessivo, ben il 57,4% è molto e moltissimo contento di vivere nel comune dove risiede. Così, al sentimento di “somiglianza” verso altre realtà analoghe, si contrappone una rilevante contentezza e gratificazione di vivere dove si abita. Dall’altro lato, si deprime il “ruolo” e il “peso” economico e politico che la provincia reggiana detiene in ambito regionale.

Infatti, solo il 19,0% ritiene che la propria realtà abbia una posizione importante nell’ambito produttivo a livello regionale e il 15,0% parimenti sul piano politico. Come se la provincia di Reggio Emilia avesse interiorizzato un tratto tipico da understatement, volto a sminuire il peso o la gravità oltre il reale, a non assegnare il ruolo effettivo giocato in ambito regionale.

Istituzionale. Un terzo aspetto che emerge fra le righe della ricerca è la presenza di un sentimento ancorato alle istituzioni, più che alle individualità politiche. Come se in questa realtà territoriale i processi di delegittimazione e secolarizzazione avessero aggredito più i partiti e la Chiesa, che le istituzioni pubbliche. E le stesse soggettività politiche fossero collocate in secondo piano, rispetto alle istituzioni che rappresentano. In questo senso è possibile comprendere come, a fronte di eventualità difficoltà economiche, i reggiani – dopo la famiglia (41,1%) e gli amici (23,6%), cui si rivolgerebbero per primi per un aiuto – sceglierebbero i servizi del Comune e dello Stato (complessivamente 17,6%).

Semmai, va notato come la dimensione comunitaria, nell’espressione delle diverse reti di solidarietà locali, costituisca un elemento decisamente marginale: alla parrocchia si rivolgerebbe solo il 2,5% dei reggiani, e ancora meno ai vicini di casa (1,3%) o alla gente del paese (1,0%). Come se, in qualche modo, tutto venisse sublimato all’interno delle cerchie più ristrette (famiglia e amici) o dell’assistenza pubblica (Comune e Stato). Lo spazio intermedio costituito dai mondi del volontariato o comunitari fosse assai ristretto o meno visibile.

Inoltre, dovendo assegnare il livello di fiducia verso le istituzioni locali dopo le Forze dell’ordine (34,8%), troviamo il Comune (26,5%) e la Pubblica Amministrazione (26,5%), ben più arretrato il Sindaco (13,9%). Dunque, la dimensione istituzionale, collegata a un buon funzionamento dell’amministrazione pubblica e alla presenza di servizi territoriali diffusi, ha un radicamento ancora importante nell’immaginario collettivo, che supera la soggettività e i processi di personalizzazione intrapresi in particolare dalla politica.

Società ed economia «laburista». Il quarto aspetto riguarda gli orientamenti verso il lavoro e le imprese. Gli esiti raccolti indicano la presenza di un orientamento

«laburista», non solo e non tanto sotto il profilo delle culture politiche (il 32,4% della popolazione si colloca all’interno della sinistra-centrosinistra, però con il 41,7% che non si riconosce più nei tradizionali schieramenti politici), quanto del lavoro e della produzione come elemento identitario.

Così, nel dover riconoscere l’aspetto che più di altri identifica la provincia reggiana, gli interpellati indicano il Parmigiano reggiano (44,3%) e l’industria (29,3%). La fiducia negli attori economici è attribuita soprattutto ai piccoli e medi imprenditori (32,2%). L’organizzazione di rappresentanza ritenuta più attiva nel promuovere gli interessi delle imprese sono le Associazioni degli industriali (17,4%).

Dovendo indicare quali sono i settori più importanti, la scelta si concentra sull’industria metalmeccanica (38,8%) e quella alimentare (34,9%), lasciando complessivamente al terziario pubblico e privato l’11,4%. Ancora, di fronte all’ipotesi di lasciare spazio a nuovi insediamenti industriali, ben il 33,7% si dichiara totalmente d’accordo e un ulteriore 37,7% rivela una disponibilità condizionata al fatto che siano imprese sostenibili o che non si costruiscano nei pressi delle abitazioni residenziali.

Alla fine, costruendo un indicatore di atteggiamento verso le imprese, quanti sono nettamente a loro favore costituiscono il 41,7% dei reggiani, mentre questa quota si ferma al 17,7% in Italia. Per converso, un manifesto atteggiamento anti-impresa è proprio solo del 6,1% degli interpellati (22,7% in Italia).

Se ci spostiamo sul versante dei fattori di competitività e attrattività del territorio reggiano, una volta di più risalta la presenza della qualità della manodopera reggiana (47,7%), unitamente a un sistema scolastico tecnico-professionale e universitario di grande spessore (48,0%). Al punto che la capacità di attrazione della provincia si fonda, su tutti, sulla presenza di un capitale umano di elevata cultura professionale (57,9%) e sulla presenza di un solido know-how manifatturiero (37,7%). Siamo in presenza, quindi, di una società e un’economia ancora fondata sul «laburismo», sul lavoro e sull’impresa, e segnatamente su quella manifatturiera.

Al termine, l’immagine complessiva riverberata dalla presente ricerca è di reggiani i cui orientamenti sono ispirati a una «medietà», a un atteggiamento «fattivamente sobrio» dove il lavoro e l’industria costituiscono un caposaldo dell’identità sociale; dove le istituzioni hanno un peso superiore alle individualità politiche e costituiscono ancora oggi una trama importante della coesione. Con grande capacità di resistenza e resilienza, senza atteggiamenti da primattore, ma anche senza slanci particolari, mantenendo un comportamento di basso profilo, un understatement diffuso.

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Redazione

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