Innovare gli antichi mestieri e renderli unici
Conversazione con un falegname 4.0 che racconta come l’aggiunta di una nuova idea a un’arte che esiste da sempre possa fare la differenza
Se pensiamo che Giuseppe era un falegname, non si può certo dire che la lavorazione del legno sia una professione innovativa. Probabilmente non è nemmeno il sogno di un genitore per il proprio figlio, per cui si immagina un brillante percorso universitario preludio di una carriera manageriale di successo. Il genitore di oggi appartiene alla generazione X o forse è un baby boomer, i suoi obiettivi erano il posto fisso, idealmente lo stesso fino alla pensione, un buon inquadramento e un buon stipendio. Il gradimento del proprio lavoro era considerato un lusso. Ma, con ritmi molto più umani, riusciva a trovare comunque tempo per le proprie passioni. I figli di questi genitori si affacciano, invece, a un modo del lavoro in cui trovare un contratto a tempo indeterminato è facile come fare 6 al SuperEnalotto, mettersi in proprio è rischioso e ci si confronta con una realtà in cui ogni bene o servizio può essere acquistato paragonando facilmente molteplici offerte. Se a questo si aggiunge che il concetto di orario di lavoro è sempre più frequentemente un buon proposito che si scontra con l’esigenza di essere sempre disponibili per essere competitivi, risulta indispensabile fare della propria passione il proprio lavoro, altrimenti quando ci si diverte?
Chissà se Gabriel Cazzola ha pensato a questo mentre ha scelto la sua professione? Laurea magistrale in Ingegneria Ambientale e Master di Innovazione Urbana quasi terminato, lui si definisce un falegname. Inizia tutto nel 2016, quando si unisce al gruppo di amici che allestiscono RESTART di Imola, festival itinerante di rigenerazione urbana, musica e graffiti.
Dopo due anni, scommettono sulla possibilità che questa esperienza di volontariato possa diventare una professione e nel 2019 nasce Ar.co Wood | Una falegnameria cooperativa al servizio della città (arcowood.it) una startup fondata da Arturo Collina, tutt’ora studente di Architettura. Il primo progetto che Ar.co Wood cura è l’allestimento del Festival San Donato, Bologna, applicando nella realizzazione delle strutture l’idea innovativa di utilizzare i pallet come fossero mattoni. Il primo vantaggio di questa soluzione è ridurre al minimo l’utilizzo del legno nuovo. Per avere un’idea del rapporto, la costruzione di una struttura che ospita fino a tremila persone richiede circa un furgone di legno nuovo a fronte di un bilico di pallet. Inoltre, il legno è un magazzino di CO2 e questo lo rende sicuramente sostenibile. Infine, i pallet utilizzati senza essere tagliati possono essere riutilizzati infinite volte. Per una startup l’investimento necessario per acquistare (e poi stoccare) la quantità di pallet necessaria può però essere un ostacolo. Da qui l’altra intuizione: cercare un fornitore disposto a noleggiarli. Peccato che in zona non esista, ma la determinazione di questi giovani imprenditori convince Eurolegno, società di Calderara di Reno, a supportare l’iniziativa.
Al termine del festival del 2019 nessuno di loro poteva però immaginare che saremmo restati tutti chiusi in casa per due anni. Nel progetto iniziale, Ar.co Wood aveva ipotizzato che il core business sarebbe stata l’attività estiva di allestimento di grandi spazi, completata da attività minori da svolgere durante la stagione invernale. Improvvisamente queste ultime, come la realizzazione di arredi su misura, diventano le uniche e permettono di non naufragare per essere pronti alla ripartenza. Il settore della cultura ha sofferto molto, e i fondi destinati a queste attività non sono ancora tornati al livello precedente al Covid; quindi, l’attenzione si sposta verso i progetti delle amministrazioni locali.
Il Comune di Bologna promuove progetti urbanistici tramite la Fondazione per l’innovazione urbana
Ancora in periodo Covid, Ar.co Wood partecipa alla trasformazione dei vecchi magazzini delle Ferrovie dello Stato in DumBo, distretto urbano multifunzionale di Bologna, uno spazio di rigenerazione urbana temporanea in cui imprese, associazioni, istituzioni e cittadini convivono, collaborano e si contaminano, curando l’allestimento del capannone dedicato alle attività estive che comprende bar, ristorante ed area per eventi. In un altro capannone Ar.co Wood inaugura a fine 2022 il proprio laboratorio di falegnameria e gestisce l’uso degli spazi comuni in cui è possibile affittare aree per il co-working o per laboratori.
L’etica di Ar.co Wood dà grande rilievo alla sostenibilità: i mattoni principali restano sempre i pallet, mentre per i legni acquistati si rivolge a fornitori che possano certificare la provenienza da foreste gestite responsabilmente. Le vernici sono tutte a base acqua (fatta eccezione per i pochi impieghi in cui la loro tenuta non sarebbe garantita). Infine, si cercano utilizzi per ogni scarto di produzione.
Un altro elemento caratterizzante della mission è la partecipazione. A ogni progetto si cerca di dare anche un lato sociale, favorendo la partecipazione di studenti e cittadini. È quanto è accaduto durante la realizzazione della piazza scolastica nel quartiere Bolognina, in via Procaccini. Qui gli studenti delle scuole medie Testoni Fioravanti hanno contribuito alla fase finale dell’allestimento con un’opera da loro proposta: scrivere CIAO nelle lingue delle 13 comunità maggiori presenti a Bologna, utilizzando la tecnica stencil.
Del gruppo di amici che si incontrò al festival di Imola solo due sono rimasti, Gabriel e Arturo. Si sono però uniti molti nuovi collaboratori. Questo ricambio evidenzia come l’entusiasmo di giovani che stanno bene assieme non sia sufficiente per una collaborazione professionale duratura. È indispensabile condividere i valori su cui si fonda il progetto. Per l’esperienza di Gabriel, funzionano molto meglio i gruppi che si formano, per esempio, in ambito universitario, dove si aggregano naturalmente persone con valori comuni: infatti, per una gestione di una squadra in modo orizzontale, occorre avere fin dall’inizio una mentalità allineata.
La conversazione si conclude con una riflessione su come, al crescere dei progetti cresca enormemente anche il carico di lavoro. Bisogna stringere i denti per consolidare la partenza, e potersi permettere di estendere la base dei collaboratori. L’obiettivo di Gabriel è poter contare su un’attività che gli possa garantire di continuare a fare lo stesso lavoro anche tra dieci anni, pur restando pronto ai cambiamenti. Per fare questo, oltre a un certo livello di abnegazione, occorre mantenere i contatti presenti e crearne dei nuovi. Gabriel si interroga anche se seguire un percorso universitario sia sempre necessario. Sicuramente può non esserlo, ma non smettere di studiare ed esplorare, anche al di fuori dei percorsi istituzionali, apre la mente ed è fonte di ispirazione.
Rita Passerini