Promuovere cultura d’impresa
Promuovere la cultura d’impresa: valori e idee dei Giovani di Confindustria. Intervista a Ivan Franco Bottoni, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna
Preparare i giovani ad affrontare il proprio ruolo in azienda e nella società: è questo l’obiettivo del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna, che con i suoi 450 iscritti, è il più numeroso all’interno del movimento nazionale.
Gli iscritti al Gruppo Giovani Imprenditori sono imprenditori, figli di imprenditori e dirigenti di età compresa tra i 18 ed i 40 anni, appartenenti ad aziende iscritte a Confindustria Emilia.
Tra di loro c’è anche Ivan Franco Bottoni, l’attuale Presidente del Comitato regionale Giovani Imprenditori dell’Industria di Confindustria Emilia-Romagna.
Laureato in Ingegneria elettronica e delle telecomunicazioni, è socio e amministratore dell’azienda Suono e Immagine di Francolino in provincia di Ferrara, che si occupa di progettazione e produzione di servizi audio, video, illuminazione e allestimenti di eventi.
È Vicepresidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia Centro con delega al Consiglio nazionale.
Presidente, come si articola il dialogo tra la Regione e le imprese del territorio?
«Come Confindustria abbiamo vari tavoli per lo sviluppo del territorio e siamo sempre connessi con la parte senior per creare le relazioni che serviranno poi quando si ‘diventa grandi’. I senior sono sempre in stretto contatto con la parte politica e istituzionale della Regione Emilia-Romagna.
La sinergia tra istituzioni e impresa è costante, spesso sono gli stessi assessori regionali che chiedono un parere a Confindustria o sfruttano il suo Centro Studi su determinati aspetti.
Da parte delle istituzioni c’è un forte ascolto delle esigenze delle singole imprese. Tuttavia, rimangono degli spazi in cui questo ascolto è deficitario, a causa di vincoli normativi: mi riferisco alla legge regionale 24/2017, che ha cambiato radicalmente le regole urbanistiche vigenti in Emilia-Romagna.
Scopo della legge è introdurre il principio del consumo di suolo a saldo zero: il consumo di suolo per ogni Comune non dovrà superare il 3% del territorio urbanizzato e sarà consentito solo per progetti capaci di sostenere lo sviluppo e l’attrattività del territorio, come i nuovi insediamenti produttivi.
In sostanza, si impedisce di realizzare nuove costruzioni se non viene liberato dello spazio. Su tutto il territorio regionale, sono disseminati vecchi edifici legati alla cultura rurale, molti dei quali sono in totale abbandono e non vengono utilizzati attivamente dagli agricoltori, già in possesso di moderni capannoni.
La legge 24 obbligherebbe all’abbattimento di questi edifici, riportando il suolo a disposizione delle attività agricole e dell’edilizia ed è questo ciò a cui Confindustria punterebbe.
La mancanza di spazi destinati alle attività produttive è infatti un problema endemico in Emilia-Romagna: esiste un frazionamento delle aziende sul territorio, che pur avendo forza produttiva sono dislocate male.
Vanno a costruire dove possono, con il risultato che la distanza tra sede e magazzini genera una logistica molto costosa, oltre che un forte impatto ambientale dovuto al volume di traffico generato dagli autocarri.
Tutto ciò ci costringe a competere sempre di più con i paesi orientali, dove i bassi prezzi dei prodotti sono dovuti alla mancanza di tutele nei confronti dei lavoratori. L’unico modo di farci valere è sulla qualità, come per esempio dimostra il nostro distretto della ceramica.
Queste condizioni generano, anche se non direttamente, un forte svantaggio nei confronti delle aziende italiane. Aziende storiche hanno dovuto adattarsi al territorio, costruire su più livelli e modificare i propri spazi più volte a seconda di come evolve il business e il livello di produzione raggiunto.
Si potrebbe obiettare che costruire in questo modo dipende dalla natura delle aziende del nostro Paese, che crescono lentamente e spesso sono aziende familiari che rimangono tali fino all’ultimo, senza essere acquistate da grandi corporation, come accade per esempio negli Stati Uniti.
Io credo che quello che serve per crescere sia dare la possibilità alle aziende di espandersi e la legge 24 per il momento lo impedisce. Le imprese non possono farsi carico di comprare gli edifici abbandonati, abbatterli e rendere disponibile il terreno per nuove costruzioni.
Tanti edifici rurali della nostra regione sono inoltre vincolati come beni storici e questo rallenta ulteriormente il processo di espansione delle aziende che noi auspichiamo».
Come procede secondo lei il processo di digitalizzazione delle imprese in Emilia-Romagna?
«Siamo purtroppo molto indietro su quella che è la base della digitalizzazione, come già segnalato dalle stesse istituzioni europee. Rifacendomi al caso della mia azienda, abbiamo sempre avuto enormi difficoltà anche solo nel connetterci alla rete e solo dopo vent’anni dalla nascita del nostro magazzino dovremmo riuscire ad avere la fibra ottica.
Lavorando in un campo ad alta tecnologia, quello dell’audio-video per intrattenimento, sono obbligato a rinnovare costantemente il parco materiali: senza nuove tecnologie digitali la mia azienda non potrebbe andare avanti.
Parallelamente, ci sono settori più tradizionali rispetto al mio che hanno dato l’esempio. Nate da tecnologie analogiche, hanno saputo evolversi in senso digitale. Come Poggipolini, fornitore di riferimento nei settori aeronautica ed automotive, che è stata capace di digitalizzare i bulloni, applicandovi dei sensori che leggono le vibrazioni delle macchine su cui sono montati.
Più si raccolgono dati, più si riesce ad avere la possibilità di decidere nella maniera migliore e questo apre a straordinarie possibilità.
Nel corso di una recente visita aziendale presso un prosciuttificio della provincia di Parma, altro settore tradizionale, abbiamo potuto verificare che ogni prodotto è monitorato costantemente attraverso parametri che misurano la qualità dell’aria e determinano la temperatura ideale attraverso procedure standardizzate, rendendo quasi pari allo zero la presenza di prodotti difettosi.
Digitalizzare e automatizzare significa poter avere più informazioni per potere decidere ed è un elemento cardine per tutti i settori industriali».
Formare la prossima generazione imprenditoriale è lo scopo principale del Gruppo Giovani di Confindustria. Uno dei progetti principali legati a questo obiettivo è “CREI-AMO LA STARTUP!” In cosa consiste?
«Abbiamo promosso questa iniziativa insieme all’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, allo scopo di diffondere tra i giovani emiliano-romagnoli la sensibilità verso la cultura d’impresa e l’autoimprenditorialità. Partecipa all’iniziativa un Istituto di istruzione secondaria per ogni provincia dell’Emilia-Romagna
Quando è nato, 25 anni fa, il progetto si chiamava “CREI-AMO L’IMPRESA!” e aveva un taglio ben specifico: era orientato a creare un prodotto, dargli un nome, stabilire i costi, elaborare un business plan e lanciarlo sul mercato. Una sorta di ‘fantaimpresa’, senza niente di tangibile o reale.
Nel corso del tempo, tutto questo ha cominciato a stare stretto ai ragazzi, che desideravano creare un servizio o un’App. Abbiamo quindi deciso di cambiare completamente il paradigma e ci siamo orientati sul modello dei classici startup contest: creare un’idea relativa a un prodotto o a un servizio, da presentare come se si fosse alla ricerca di fondi.
Se la premiazione finale è prevista, essa è del tutto secondaria: ad essere veramente importante per noi sono le interazioni che nascono tra i ragazzi e i loro tutors, scelti tra i Giovani di Confindustria Emilia.
Mettendo a disposizione il loro tempo e il loro know-how per realizzare al meglio il progetto, questi giovani imprenditori, veri e propri business angels, forniscono agli studenti degli elementi reali legati a quello che è effettivamente il mondo delle imprese.
Non è un caso che dai partecipanti al progetto siano nate idee che spesso hanno precorso i tempi, come i droni utilizzati in agricoltura o i tavoli da picnic dotati di pannelli solari».
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