Un’idea in testa
“Datemi una leva e vi solleverò il mondo”. Con questa frase Archimede sdoganava la dirompenza delle idee e la loro capacità di poter attivare qualcosa di veramente eccezionale. Nel nostro piccolo ci portiamo a casa la considerazione che un’idea, se ben “vestita”, può generare importantissimi, importanti, o abbastanza importanti, effetti domino. Dipende dalla nostra possibilità di partorire idee e di capitalizzarle. Non possiamo stilare graduatorie tra il valore della generazione e della capitalizzazione. Tuttavia ci potremmo accordare sul fatto che entrambe hanno il loro peso e che dalla loro complementarità possono scaturire grandi soddisfazioni.
Può un’idea essere sufficiente a mettere in moto la voglia di fare impresa? Ne basta una? Quando, e se, scatta la scintilla per la canalizzazione di un’idea che ci viene in mente verso la voglia di fare impresa? Un’idea, che poi riterremo possibilmente vincente, va ricercata o deve sgorgare in modo spontaneo? E se ci viene spontaneamente, la sua possibile riconduzione a disegni e progettualità più pragmatiche, e meno pindariche, ne può ledere la fragranza?
L’attivazione di dubbi, riflessioni e discussioni ha dell’inesorabile: non può esistere un’idea senza un seguito ed un corollario. Quasi come se la nostra personalità si dovesse sdoppiare per necessità, per evitare che un’idea, partorita dalla nostra natura primordiale ed emotiva, potesse metterci in difficoltà al punto da attivare il contributo della componente più convenzionale del nostro cervello, il cui scopo è temperarne e valutarne scientemente gli effetti.
La natura di un’idea può essere fortemente divergente a seconda del momento della vita in cui è generata. Se parte da un giovane avrebbe maggiori probabilità di essere più originale e meno scontata, ma risentirebbe dell’assenza di esperienza che la sottoporrebbe a maggiori rischi di realizzabilità. Per una persona meno giovane l’idea generata potrebbe essere meglio vestita perché anche figlia di una possibile esperienza di vita.
La sua vulnerabilità sta nel fatto che rischierebbe di essere meno originale. Ferma restando l’assenza di dogmaticità nei modelli ipotizzati, la dicotomia appare chiara al punto da distillare una considerazione di carattere generale: un’idea più originale presenta maggiori possibilità di capitalizzazione sul mercato ma, al tempo stesso, maggiori rischi per la sua realizzazione.
Evitando di fare considerazioni di carattere qualitativo ma solo di processo, alla prima fase di entusiasmo, per aver generato un’idea, ne consegue una seconda all’insegna del pragmatismo. L’idea sgorga e fluisce. Successivamente viene imbrigliata dagli aspetti convenzionali ed osservata per quella che potrà essere la sua realizzabilità. Dopo questa fase di “lavorazione” viene liberata con il suo fardello e resa pubblica, così com’è, per attivare tutti i fattori produttivi che consentiranno di trasformarla in impresa.
Forse non ci si rende conto di svolgere questi passaggi. Magari non si percorrono nella sequenza ipotizzata. Tuttavia la generazione di un’idea è condizione imprescindibile per attivare un’impresa. Quando ci si è resi conto che può avere possibili esiti si dovrà combattere con tutte le forze per fare in modo che le cose vadano così come le abbiamo pensate. In questo ci viene in aiuto Ezra Pound secondo il quale “Se un uomo non intende correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui.”